LINK di interesse:
- SUI ARTS
- Dentures and Demons (Android e Apple)
- Dentures and Demons 2 (Android e Apple)
- Moth Lake (Android, Apple e Steam)
Finite le Elementari, nel 1993, spesi tutti i soldi ricevuti per la Comunione in un’Amiga 600. Si trattava di ben 500.000 Lire, circa mezzo stipendio di un operaio (soldi comunque ben spesi, avendo poi fondato insieme a degli amici Bits And Chips!). Ho avuto la fortuna di avere dei genitori che, sebbene fossero tutt’altro che facoltosi, erano aperti di vedute e vicini alle mie passioni. Questo nonostante molte di queste passioni non le condividessimo neppure, come appunto l’informatica.
Grazie al loro supporto, però, all’età di 10 anni mi avvicinai al mondo dei computer, e questo hobby continuo a coltivarlo ancora oggi.
A distanza di 30 anni mi accorgo di come io debba moltissimo ai miei genitori, anche se a prima vista non sembrerebbe: mi hanno concesso il privilegio di unire due passioni che sono nate in me praticamente in contemporanea, la lettura e i videogiochi.
La maggior parte delle persone (purtroppo anche la stragrande maggioranza degli insegnanti) non vedono un collegamento tra questi due ambiti, eppure sono strettamente legati.
I primi videogiochi che furono commercializzati sono stati gli Arcade (Tetris, Space Invaders, ecc.) e le Avventure Testuali. I primi possiamo considerarli gli antesignani dei moderni giochi più futili e divertenti oggi in voga (Fortnite, ad esempio), mentre le seconde possiamo considerarle i giochi intellettuali per eccellenza dell'epoca, dei veri e propri libri game, che poi si arricchiranno di un grandioso comparto grafico. Nascono così le Avventure Grafiche (correva la seconda metà degli anni ‘80).
Proprio quest’ultimo genere di videogiochi fu quello che amai di più quando ero un pischello delle medie, un periodo in cui alternavo la lettura di romanzi d’avventura o umoristici (Tre uomini in barca, L’isola del tesoro, Il giro del mondo in 80 giorni, Un americano alla corte di Re Artù, ecc.) ai classici punta e clicca della Lucas Arts (Monkey Island, The Day of the Tentacle, Sam & Max Hit the Road), della Sierra (King’s Quest VII, Space Quest VI), della Revolution (Broken Sword) o dei WestWood Studios (The Legend of Kyrandia).
Broken Sword (1996: all'epoca ero in terza media!)
Molti non lo sanno, ma le avventure grafiche sono dei veri e propri romanzi grafici, da giocare ed esplorare, in cui il testo da leggere - nel corso del gioco - spesso è più lungo di un classico romanzo (il testo che compone i dialoghi e le descrizioni di Monkey Island 2, probabilmente la migliore avventura grafica mai creata, è più lungo de “Le avventure di Tom Sawyer” di Mark Twain!).
Grazie a questi giochi è aumentata la mia passione per la lettura, in quanto in ogni gioco mi divertivo a trovare eventuali citazioni a libri che leggevo o ad altri videgiochi che avevo completato. Al contempo, più leggevo più avevo voglia di giocare alle Avventure Grafiche, così ricche di enigmi e personaggi assurdi, al fine di mettermi alla prova..
L’avvento della Playstation di Sony, che ha portato all'effettiva massificazione totale del mondo del gaming, ci ha guidati ad una graduale scomparsa delle Avventure Grafiche, a vantaggio di giochi spesso “vuoti” o molto più leggeri, più ricchi d’azione che di logica. Per questo motivo oggi molti adulti (e professori) denigrano i videogiochi in toto: perché quando erano giovani non avevano genitori aperti mentalmente come i miei o di altri miei coetanei, ed ora, che sono “vecchi dentro”, non hanno il coraggio o la voglia di provare con mano quello che si sono persi (non per forza giocando le avventure grafiche originali alla risoluzione di 640x480: i remastered in alta risoluzione di Full Throttle, Monkey Island, The Day of the Tentacle. Oppure "Dentures and Demons" di Stefano, eccellente per iniziare a conoscere questo genere!).
Dentures and Demons (SUI ARTS)
A scuola, nelle classi dove insegno, fortunamentemente ho dei genitori fantastici, oltre che degli alunni meravigliosi, e grazie a loro posso portare avanti dei progetti particolari così da affiancare la didattica tradizionale ad una più avanzata. Oltre a leggere ed analizzare i classici della letteratura mondiale e italiana (Eneide, Odissea, Jules Verne, ecc.), cerco di far conoscere loro anche le Avventure Grafiche, un genere che è nato proprio grazie alla passione dei programmatori per la Letteratura, con la L maiuscola.
Alcuni esempi? Roberta Williams, una giovane ragazza appassionata di fiabe e romanzi, figlia di un ispettore agricolo della California del Sud, che un giorno sposò un programmatore dell’IBM. Grazie al supporto del marito, Roberta creò alcune tra le più belle avventure grafiche mai realizzate: i sette capitoli della serie King’s Quest.
Passiamo poi a Ron Gilbert, il creatore di Monkey island, il quale abbandonò la carriera di professore di Fisica per unire due sue grandi passioni: la Letteratura e i videogiochi. Si può dire che Gilbert sia l’Isaac Asimov delle Avventure Grafiche.
Quale ultimo esempio citiamo Dave Gibbons, il creatore della famosissima graphic novel “Watchmen”, che fu chiamato dalla Revolution Software per collaborare alla creazione del primo capitolo di Broken Sword.
Potrei andare avanti citando altri cento nomi, ma è meglio fermarci qui.
La copertina di King's Quest I e Roberta Williams, all'epoca della pubblicazione del gioco, nel 1984.
Quest’anno ai miei alunni ho fatto conoscere un giovane e talentuoso programmatore italiano, Stefano Mazzotta, autore di due avventure grafiche per dispositivi Mobile che hanno raccolto i favori del pubblico: “Dentures and Demons” e “Dentures and Demons 2” (Li potete giocare gratuitamente su Android). Dopo averle giocate, essendomi piaciute enormemente, ho deciso di contattarlo per chiedergli di poter essere intervistato dai miei alunni. Naturalmente, prima i miei alunni avrebbero dovuto giocare ai due giochi sopra citati!
Stefano, gentilmente, si è concesso ed è per questo che nella pagina seguente potrete leggere l’intervista, realizzata da 43 alunni di una prima e di una seconda media (Stefano ha anche regalato una chiave ad ogni alunni per ogni gioco da lui creato, compresa la nuovissima avventura grafica “Moth Lake”!). Le risposte a questa intervista le ho discusse in classe con i miei alunni, in quanto si legano ad una serie incredibile di tematiche: la Letteratura, naturalmente, ma anche il bullismo, l’Educazione Civica, la Didattica e il mondo del lavoro.
Partito come un progetto leggero, questo in classe si sta trasformando in un piano didattico di ampio respiro, capace di regalarci una serie infinita di nessi interdisciplinari. Stefano, infatti, a maggio verrà a Cervia per un incontro con le classi della scuola media dove insegno. Cosa riescono a fare i videogiochi!
Un consiglio spassionato: giocate ai videogiochi di Stefano, non ve ne pentirete!
Domanda: Ciao, Stefano, noi siamo gli studenti delle classi 1D e 2E, e ti ringraziamo tantissimo per la tua disponibilità. Poiché ci piacciono molto i videogiochi, e tu hai creato diversi giochi di successo, vorremmo farti alcune domande. La prima è la seguente: che scuola hai frequentato per diventare programmatore? Hai scelto quella scuola perché già sapevi che avresti fatto questo lavoro? Ti piaceva andare a scuola? Hai avuto dei buoni insegnanti?
Risposta: Ciao gente! È un piacere rispondere alle vostre domande e spero che questa chiacchierata possa ispirarvi, o che almeno vi faccia perdere un'ora di lezione! Ecco, questa sarebbe una battuta, ma descrive un po' il mio rapporto con la scuola. Non ho studiato, e non ho frequentato scuole di programmazione o di game design... In effetti potrei dire di non aver mai studiato e basta. Diciamo che fin da bambino non sono mai stato il primo della classe, e nemmeno uno dei primi dieci. Potrei giustificarmi dando la colpa a fattori esterni, ma la realtà dei fatti è che probabilmente avrei fatto schifo a prescindere. Non fraintendetemi, non voglio sminuire il ruolo della scuola e quanto questa sia importante. Credo sinceramente che lo studio possa aprire la mente e migliorare la vita delle persone, però sarei un ipocrita se non ammettessi che io ero un alunno su cui nessuno avrebbe scommesso. Non ho mai pianificato il futuro ed ho persino lavorato in una catena di montaggio prima di cominciare ad esprimere le mie potenzialità. Ho creato il primo videogioco (Dentures and Demons) quando ero già adulto, solo per passione, e non immaginavo che qualcuno lo avrebbe scaricato per davvero.
Domanda: Non abbiamo mai giocato prima a delle avventure grafiche, una specie di romanzo multimediale, ma ci sono piaciute molto. Le tue battute sono divertentissime ed anche la storia dei tuoi giochi è molto interessante. A cosa o a chi ti sei ispirato? A degli scrittori? A dei film? A degli altri videogiochi?
Risposta: Non mi sono ispirato a qualcosa di specifico, ma penso che tutti noi siamo fortemente condizionati non solo dalle nostre esperienze dirette ma anche da ciò che viviamo attraverso le opere di intrattenimento. Certe storie ci entrano dentro, plasmando la nostra personalità e diventando parte della nostra coscienza, influenzando il nostro modo di essere e quindi anche tutto ciò che creiamo. Quindi pur non essendomi ispirato a nulla, penso che i miei giochi debbano moltissimo ad un'infinità di libri, film, serie tv, musica e videogiochi. A volte penso di avere un'idea originale, ma poi mi rendo conto che sto solo ricordando qualcosa che ho già visto. Spero di non aver rubato troppo da Stephen King, ma alla fine penso che nel 2023 sia impossibile essere davvero originali!
Domanda: In Dentures and Demons secondo noi hai inserito anche esperienze che hai vissuto veramente: ci abbiamo visto giusto? Nei propri romanzi gli autori inseriscono sempre esperienze o pensieri personali.
Risposta: Mi avete beccato! Cerco sempre di inserire qualche riflessione morale che mi appartiene all'interno dei giochi. Mi piace nascondere un po' di profondità dietro a tutti quegli strati di umorismo e leggerezza. Per quanto riguarda le esperienze vissute, devo dire che l'intera trama di Dentures and Demons si basa su un pomeriggio di tanti anni fa. La cronaca nera narrava di omicidi, di fanatici dell'esoterismo e di cose terribili successe nella periferia della mia città. Un clima che avrebbe tenuto chiunque lontano dai guai, ma noi ragazzini eravamo così incoscienti da gironzolare per boschi e ville abbandonate, a caccia di avventure. Per fortuna l'unica avventura che abbiamo rimediato è stata prendere delle sberle dai nostri genitori una volta tornati a casa. Comunque, tralasciando la follia di quel giorno, penso che tutti si rivedano un po' in quelle scene in cui Junior e gli altri personaggi si prendono in giro, vanno in bici, affrontano prove e sognano di restare uniti per sempre.
Domanda: A casa, i nostri genitori (ma non tutti!) si lamentano sempre perché giochiamo troppo, e forse non hanno tutti i torti visto che giochiamo soprattutto a Fortnite o giochi simili (il nostro prof dice che le avventure grafiche, invece, sono più istruttive). I tuoi genitori cosa ti dicevano? E che giochi ti piacevano? Potresti farci qualche nome, così magari potremmo provarli anche noi, nonostante siano “vecchi”.
Risposta: È giusto che giochiate anche a Fortnite, perché tutti meritano un po' di svago futile, ma sono sicuro che i vostri genitori resterebbero affascinati quanto voi da certe avventure grafiche, e inizierebbero a dirvi "aspetta che torno a casa per giocarci perché voglio vedere come va a finire!". Non potete capire la fortuna che avete oggi, avendo a disposizione un mondo di giochi in italiano, di cui molti gratuiti, e giocabili da casa vostra. Ai tempi di noi dinosauri si giocava quasi esclusivamente nelle sale giochi o nei bar. C'erano solo un paio di giochi, e se per sfiga nascevi nel paesello sbagliato non ti facevano nemmeno entrare finché non avevi la barba (Infatti la mia barba è finta. L'ho incollata quando avevo nove anni e non sono ancora riuscito a toglierla). Esistevano solo i giochi arcade, e una partita durava pochi minuti. Tutti i genitori pensavano che i videogiochi fossero solo uno spreco di soldi, e questo passato influenza l'opinione di diverse persone ancora oggi. Fù grazie alla mia prima comunione che riuscii a racimolare i soldi per una Play Station, e a portare in casa la magia di giochi con una loro storia da raccontare, ricchi di pathos e persino più magici del cinema. I miei preferiti erano i giochi che univano l'avventura all'azione, e sono stati talmente apprezzati che ancora oggi sfornano dei seguiti: Metal Gear Solid, Silent Hill e Resident Evil (La mia avventura grafica preferita è The Course Of Monkey Island).
Domanda: Ad alcuni di noi piacerebbe programmare dei videogiochi, ma abbiamo diversi dubbi. Quanto tempo si impiega a programmare un videogioco? Quanto è difficile? Fai tutto da solo o hai degli collaboratori? Riesci a vivere bene con quanto guadagni con questi giochi? Oppure devi fare un secondo lavoro per vivere?
Risposta: Diciamo che la durata di un progetto varia molto in funzione del risultato che si vuole ottenere. Ho lavorato a Dentures and Demons per 6 mesi, poi la voglia di creare giochi sempre più complessi mi ha portato a raddoppiare i tempi ad ogni progetto. Sicuramente non si tratta di un lavoro semplice, in quanto bisogna far fronte a tante sfide sia creative che tecniche, ma citando le parole di un mio professore: "Non esistono compiti difficili, ma solo compiti impegnativi". Per avere successo occorre perseveranza e tanta voglia di andare fino in fondo, senza lasciarsi scoraggiare. Lavorare in team permette di dividere i compiti e alleggerire il carico di lavoro, ma penso sia molto difficile trovare qualcuno motivato con cui condividere gli obiettivi e i rischi di un progetto. Io lavoro sempre da solo, e curo in prima persona qualsiasi aspetto del gioco. Vivo bene, mi sento realizzato, e per fortuna non ho bisogno di altri lavori. Tuttavia l'aspetto del guadagno è un tema molto complesso e sinceramente lo trovo estremamente noioso. Sono abbastanza sicuro che i miei giochi in mano a qualcun altro genererebbero tantissimi soldi, grazie ad opportune strategie di marketing e a discutibili meccaniche di monetizzazione, ma preferisco di gran lunga accontentarmi del mio stipendio, concentrandomi solo sul creare avventure interessanti.
Domanda: Queste curiosità hanno colpito diversi di noi: perché nel gioco i cattivi sono tutti pelati? Perché i bambini sono molto più volgari degli adulti?
Risposta: Probabilmente il binomio cattivo-pelato è dovuto alla mia paura di invecchiare... o di perdere i capelli! Forse dovrei andare in terapia per approfondire la faccenda, comunque l'idea di fondo è che il mondo appartiene ai giovani, mentre i vecchi cercano di distruggerlo. Dopotutto si tratta di una lettura in linea con il mondo in cui viviamo, fatto di giovani costretti a pagare il conto lasciato dalle generazioni precedenti. Pensate all'ambiente, ai conti pubblici, all'economia, ai retaggi culturali di disuguaglianza e a tutto ciò che non permette loro di essere i soli fautori del loro destino. Quindi è giusto che i bambini si ribellino e siano volgari, alla faccia dei pelati cattivi! Diciamo che mi piace l'idea di rappresentare un po' di realtà, e la volgarità è qualcosa di molto reale, soprattutto quando un gruppo di adolescenti si trova lontano dalle orecchie degli adulti. I giovani sono diretti, energici e senza filtri, e trovo ipocrita il fatto che un'opera di intrattenimento debba censurare questo aspetto. Forse cambierò idea quando perderò anche io i capelli, e non penso manchi molto.
Domanda: A volte chi è considerato un “nerd” viene preso in giro dai compagni di scuola, perché questi non capiscono quello che fai (chi è “nerd” spesso è bravo in matematica, nei giochi di logica, ecc.). Tu sei mai stato bullizzato? Oppure hai vissuto un’adolescenza tranquilla?
Risposta: Diversamente da Dentures and Demons, la realtà ci insegna che i cattivi non hanno età, e spesso hanno dei bei capelli. Mettetevi l'anima in pace, perché il bullismo non si esaurisce a scuola, ma vi accompagnerà sul posto di lavoro, nel tempo libero e probabilmente pure all'ospizio. Sono stato particolarmente sfigato con i bulli, sia a causa dei miei interessi che a causa del mio aspetto, ma diciamoci la verità, i bulli si accontentano di qualsiasi pretesto per prenderti di mira. Qualsiasi cosa può essere strumentalizzata per farti sentire "diverso", come se la diversità dovesse essere motivo di vergogna. Il mio consiglio è di non dare troppo peso a chi è palesemente frustrato. Può sembrare semplicistico, ma ognuno di noi ha il potere di scegliere quanto qualcosa sia rilevante o trascurabile nella nostra vita. Non è facile, ma possiamo sempre concentrare le nostre energie su ciò che ci rende felici. La persona più felice non è quella a cui va tutto bene, ma quella che sa trovare qualcosa di buono anche quando tutto va male. Personalmente, la cosa che mi ha aiutato maggiormente è stata scoprire l'autoironia: essere il primo a ridere dei miei "difetti", mi ha portato velocemente ad essere più divertente di chiunque altro al riguardo. I bulli si sono arresi perché le loro battute erano decisamente più scadenti, e col tempo mi sono reso conto che quei difetti erano parte della mia identità e per questo, motivo di orgoglio. Non dico di esser riuscito ad azzerare le prese in giro o le botte, però diciamo che ho vissuto decisamente meglio.
Domanda: Visto che sei bravo a programmare, e probabilmente ti piace la matematica, non potresti diventare un insegnante? Siamo convinti che faresti amare la matematica ai tuoi alunni, anche perché pensiamo che tu sia molto simpatico.
Risposta: È una domanda bellissima, perché mi ricorda che tutti possono sempre concedersi una seconda opportunità, anche coloro che nella loro vita scolastica hanno collezionato tante pagelle agghiaccianti. Tuttavia, preferisco non avere la responsabilità di tramandare la matematica alle generazioni future! È meglio che io continui a raccontare storie, e che voi ci giochiate quando avete finito tutti i compiti.
Domanda: Grazie di tutto, a presto!
Risposta: Grazie a voi! È stato un piacere raccontarvi qualcosa in più su di me, e le vostre domande sono state davvero originali e simpatiche. Ciao!