L'introduzione di nuove tecnologie potrebbe generare un cortocircuito tra la tradizionale e la nuova (in verità, ancora in divenire) concezione della didattica. Come abbiamo avuto modo di scrivere nel primo articolo riguardo la digitalizzazione della scuola italiana, l'attuale corpo decente probabilmente non sarà in grado di cogliere le differenze essenziali di questo passaggio per vari motivi, e li andiamo a ripetere per rinfrescarci la memoria: elevata età media degli insegnanti, mancata introduzione di personale giovane e mentalmente elastico all'interno del corpo docente, debole supporto (tramite corsi di aggiornamento o manuali) agli insegnanti da parte del Ministero dell'Istruzione e, in ultimo, una perenne mancanza di fondi (e quindi presenza di infrastrutture anacronistiche).
Queste mancanze saranno il muro principale che impedirà un proficuo utilizzo da parte degli insegnanti dei mezzi informatici che verranno messi loro a disposizione. Tablet, LIM e Notebook non possono e non potranno essere utilizzati solamente per realizzare qualche testo o powerpoint, o per leggere un libro di testo in pdf. Per far questo sono più che sufficienti gli strumenti attualmente a disposizione. Aggiungere alle attuali aule informatiche altri oggetti, come Tablet o LIM, renderà solamente più difficile e improbo il compito degli insegnanti, incapaci di coglierne le possibilità di utilizzo nella loro completezza, anche nel caso abbiano delle buone conoscenza didattiche e pedagogiche, come è spiegato in questo studio pubblicato dall'European Schoolnet, ed intitolato “Developing Practical Guidelines for 1:1 Computing Initiatives”. Uno dei suggerimenti dati ai dirigenti scolastici è il seguente: “Make sure that the teachers are familiar with the student devices. The teacher needs to know what is possible on the student’s device”. Ma come può un insegnante prossimo alla pensione conoscere le potenzialità di un Tablet? In questo articolo pubblicato su Agenda Digitale è descritto come dovrebbe essere utilizzato il Tablet nella scuola italiana. Pura utopia. “Tablet e i nuovi strumenti tecnologici sono dei bellissimi gadget, ma sono investimenti inutili se non vengono inseriti in un processo formativo completamente rivisitato […] In questo quadro, il ruolo del professore è quello naturalmente di spiegare il contenuto della lezione, ma anche quello di gestire la ricerca delle informazioni e lo scambio di opinioni tra i ragazzi della propria classe e quelli delle classi che collaborano alla costruzione del tema specifico” scrive Cristiano Radaelli. Non era già possibile fare tutto ciò anche prima? Perché non fare lo stesso, ad esempio, attraverso la lettura in classe di uno o più quotidiani? Sono pochi i professori che lo fanno oggi in modo analogico, perché dovrebbero essere di più quelli che lo faranno in futuro in modo digitale? La veridicità ed autenticità delle fonti Online, inoltre, ha sollevato molti dubbi tra gli esperti, e studi sull'argomento sono stati compiuti anche in Italia.
“Altro punto nodale non meno importante riguarda l’imparare a gestire l’enorme flusso di informazioni che arriva dalla rete. Durante un seminario promosso dalla Fondazione Pubblicità Progresso all’Università Cattolica di Milano lo scorso gennaio, è stato affrontato proprio il tema dei rischi dell’information overload per i nostri studenti” scrive ancora Radaelli. Non fu lo stesso per la televisione? Umberto Eco ha combattuto varie battaglie mediatiche a favore della televisione, proponendo i medesimi temi anche attraverso il saggio “Apocalittici e integrati” (1964). Si è effettivamente fatto qualcosa a riguardo nella scuola in questi 50 anni, oltre a proporre qualche film durante l'ora di religione? No, i ragazzi sono rimasti in balia del tubo catodico. Né genitori, né insegnanti hanno dato loro effettivamente gli strumenti per leggere questo media. Non citiamo poi il fatto che discutere di temi contemporanei (fascismo, brigatismo, mafia, stragismo, ecc) sia un terreno minato per l'insegnante, in quanto sono argomenti ancora fortemente caratterizzanti la nostra vita politica. L'insegnante come potrebbe gestire l'information overload se non può discutere liberamente anche di quei temi?
Gli studenti, a tal proposito, sono maggiormente consci rispetto agli insegnanti e ai così detti esperti chiamati in causa della molteplicità di funzioni che sono in grado di erogare questi strumenti, ma manca loro la conoscenza critica per mettere in pratica questo vantaggio. Nello studio “Novices, Gamers, and Scholars: Exploring the Challenges of Teaching About Games”, scritto da Zagal Bruckman, si fa riferimento proprio a questa problematica, seppure nel campo dei videogiochi. Gli studenti, e gli adolescenti in generale, sono più bravi nei videogame rispetto agli insegnanti e agli adulti, ma non riescono a spiegare come fanno ad essere tanto bravi e, cosa ancora più grave, non riescono ad esternare le proprie emozioni nei confronti dei videogame preferiti, tanto da poter rientrare, almeno parzialmente, nella categoria degli alessitimici: “While students often have a very good feel for gameplay aspects, they can have difficulties articulating what these aspects are and how they interact with each other to produce a game experience. Edward describes "they're very savvy about picking up a controller and figuring out how to play a game pretty much instantaneously. They get the general, 'Oh, here's how you interact with this game', and they can do that immediately. Sometimes it's magical watching them do it. So, that learning curve has already been attained just by their history playing games. That unbelievable familiarity makes them experts, but what's interesting is when you ask them to talk about games. They kind of devolve into likes and dislikes. So, they'll say things like, 'I played this game and I liked it because...' or 'I really enjoyed the…'. Understanding what they're trying to say gets really muddy because there is no sense of exactly what they're saying outside of that they like it, or don't like it”.
Tale problema non nasce oggi con l'utilizzo degli strumenti informatici, ma è particolarmente presente in quei soggetti che hanno carenze culturali e/o di istruzione (non sempre causate dai videogiochi o da un utilizzo eccessivo del computer o della televisione). Sempre nel medesimo articolo Bruckmam conclude affermando che bisogna dare ai giovani gli strumenti per comprendere il più profondamente possibile lo “strumento videogioco” (o televisione, o radio, ecc), in quanto non è solo un divertimento ma, come tutti i media, un contenitore di idee, come lo può essere un libro o un film: “We need to focus our efforts on helping students get more from their experiences with games and help them better leverage what they know to establish a deeper understanding”. Questo potrà avvenire solamente se gli studenti avranno quali insegnanti e professori dei soggetti in grado di capire completamente le proprie esigenze, quindi difficilmente potrà accadere attraverso la riconversione di un intero anziano corpo docente dall'analogico al digitale. Servirebbe un'iniezione di notevoli quantità di giovani insegnanti capaci di sfruttare tali tecnologie, ma soprattutto vicini al mondo in cui operano gli studenti stessi. Quet'ultimo punto è fondamentale: questi insegnanti non devono essere solamente giovani ma anche, e soprattutto, consapevoli di quanto stanno utilizzando e facendo.
Un Tablet o una LIM possono essere utilizzati in maniera più o meno costruttiva. Possono essere visti, ugualmente, come strumenti di svago o come strumenti in grado di potenziare le proprie capacità di studio, al pari dell'ormai immancabile calcolatrice, ed in entrambi i casi le note negative non mancano. Proprio la calcolatrice, prendendola quale esempio principe, ha impigrito la mente di moltissimi studenti, ora diventati adulti. Non è raro, anzi è molto frequente, che questi la utilizzino per fare anche dei calcoli semplicissimi, con tutto quello che ne consegue. In questo studio compiuto da Christina L. Sheets (Department of Mathematics, University of Nebraska-Lincoln, 2007) le conclusioni sono addirittura pessimistiche poiché molti studenti rinunciano, se non hanno a disposizione la calcolatrice, anche solo a provare a risolvere i problemi messi loro di fronte: "I share the fear of one of the teachers involved with the study conducted by Graham and Thomas; my students have become dependent on the technology and fear failure without it".
Tablet ed altri strumenti informatici possono risultare addirittura più dannosi se male utilizzati rispetto alla calcolatrice. Pensiamo all'utilizzo del vocabolario cartaceo. Per andare a cercare una parola bisogna conoscere necessariamente l'alfabeto se non si vuole proseguire a tentoni. Utilizzando i vocabolari online basta scrivere la parola, senza doversi applicare mentalmente. E i correttori automatici? Se si sbaglia a scrivere una parola ecco che intervengono i correttori per rimettere tutto a posto: apostrofi, tempi verbali, doppie consonanti e molto altro.
Questi strumenti possono risultare utili in certi frangenti, ma nell'utilizzo scolastico lo sono davvero? Sui social network, soprattutto Facebook, è la normalità vedere scritti dei messaggi in cui il verbo avere, il verbo essere e le congiunzioni si scambiano in continuazione la lettera acca (“O mangiato la torta”. Oppure “Mi sta meglio il primo ho il secondo vestito?”). Personalmente non mi considero eccessivamente vecchio (ho 30 anni) ma ho constatato che molti strumenti didattici che venivano utilizzati ai miei tempi sono stati abbandonati, come le filastrocche: “Ato, ito, uto, all'acca danno il benvenuto. Are, ere, ire l'acca fan fuggire”.
La perdita di questi strumenti didattici da parte del corpo decente non avviene solamente perché vi è un effettivo decadimento nella qualità della formazione degli insegnanti, ma anche perché questi ultimi non vogliono che vengano considerati antiquati dai loro stessi studenti. Non vogliono essere derisi a causa del loro metodo didattico visto come antidiluviano. Su questa strada vengono spinti dagli stessi dirigenti scolastici.
E' ormai consuetudine che insegnanti e professori si iscrivano ai social network così da poter diventare “amici” dei propri alunni. In questo caso sono gli insegnanti a seguire gli alunni. Un problema molto sentito in Inghilterra, e lo possiamo leggere in questo articolo del The Guardian. Rabbi Avi Schwartz, insegnante in Special Education nello Stato di New York, ha affermato: “There needs to be a certain distance between teachers and students in order to maintain respect. A teacher needs to be a role model, mentor, and advice giver – not a friend”. I “vecchi” o, detto in maniera politicamente corretta, questi anziani insegnanti cercano di mantenersi giovani copiando i giovani, anche nei rapporti interpersonali.
D'altra parte uno studio intitolato “The State Of Consumers And Technology: Benchmark 2011, US", compiuto da Gina Sverdlov, ricercatrice per la Forrester Research, dimostra come questo voler rincorrere la "gioventù digitale" sia del tutto inutile: la generazione tra i 22 e i 32 anni è già vecchia, digitalmente parlando (tempo passato su internet, quantità di video caricati su youtube, tempo speso con i videogiochi, ecc), se la confrontiamo con quella tra i 18 e i 22 anni. Questa senilità digitale anticipata, e non accettata, sta portando a diversi effetti, soprattutto dal punto di vista dei costumi.
Oggi si sta vivendo una riproposizione, fortunatamente senza la componente cruenta, di quanto accadde durante il romanticismo tedesco con la febbre di Werther, mania che colpì buona parte dei giovani tedeschi. Questi non solo cominciarono a vestirsi come il protagonista del romanzo di Goethe, I dolori del giovane Werther, ma addirittura trovarono nel suicidio una morte onorevole. Gli adulti cercano invece di comportarsi come i giovani nell'utilizzo degli strumenti informatici, ma non solo. Anche la recente mania di vestirsi in stile "Nerd/Hipster" è dovuta proprio a questo.
Si può così concludere che il Ministero dell'Istruzione e gli insegnanti, se la strada intrapresa non cambierà, continueranno semplicemente a riproporre a scuola quanto già i ragazzi sanno fare a casa. Gli alunni saranno chiamati ad una mera opera di ripetizione, addirittura spogliata dei vecchi, efficaci, metodi didattici. Citando un altro articolo del The Guardian, l'utilizzo scolastico degli strumenti informatici è visto spesso come un modo per abituare gli studenti all'utilizzo di un certo tipo di prodotto, favorendo alcune compagnie (“The decision to introduce computer studies at the school came about because teachers were concerned that the ICT curriculum – centred around "Office-based" applications such as Word, PowerPoint and Excel – was not preparing young people for the jobs and careers they might go on to in the future - The emphasis was on students as consumers rather than designers and developers”), e questo modus operandi impedisce proprio agli studenti di comprendere come dovrebbero essere utilizzati in maniera produttiva e creativa (“For too many pupils, computer teaching can be little more than a glorified typing course”). L'ECDL è un esempio calzante: attesta che sai dov'è un determinato pulsante in Word, ma non che tu sappia realmente utilizzare Word.
Dopo questa breve introduzione cerchiamo finalmente di capire come la recente riforma scolastica italiana sia vista da Dell e Samsung, due tra i più importanti fornitori mondiali di strumenti informatici didattici, ma soprattutto come queste due case pensano che l'utilizzo degli strumenti informatici possa migliorare una situazione non proprio rosea. Prima, però, una domanda: perché Dell, Samsung e le altre case hanno tanto a cuore la scuola?